Dio senza Grazia

lo strano caso dell'Islam

Pubblicato su Tempi il 30/09/2004

Tempi così introduceva questo contributo: «L'interpretazione di un docente di storia: l'islam è una rivelazione divina che non offre la possibilità di essere verificata. E che si afferma storicamente attraverso sforzi politici piuttosto che per iniziativa divina.»


Quasi sempre le discussioni sull'Islam, e il suo rapporto con il fondamentalismo e il terrorismo, sono talmente animate dalla passione, che raramente si può riflettere sui punti cardine della cultura islamica, senza che subito mille riflettori si puntino a vedere "dove si va a parare" in pratica. Noi crediamo che la verità, specie se evidente e incontestabile, dovrebbe essere innanzitutto accettata, senza fuochi di sbarramento motivati da presunte conseguenze pratiche negative. Cogliere, ad esempio, dei tratti potenzialmente negativi in una concezione della realtà non significa marchiare chi, magari solo perché nato in una certa terra, in quella concezione crede.

La tesi che vorremmo qui illustrare è quella di una specificità dell'Islam nei confronti di tutte le "altre" "religioni". Che cos'è una religione? Un insieme di convinzioni, indicazioni e proposte rituali che metta l'uomo in rapporto con l'Eterno, con il suo Destino.

Di fatto le religioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle che, per loro esplicita ammissione, sono un tentativo umano di rapportarsi al divino, e quelle che invece sostengono di essere frutto di un intervento (autorivelativo) di Dio; tra le prime si annoverano quasi tutte le religioni, dal buddismo, all'induismo, allo scintoismo, al paganesimo antico, alle religioni primitive, mentre solo l'ebraismo e il Cristianesimo sostengono di essere fondate sull'intervento di Dio nella realtà visibile. Nel primo caso è uomo che va verso un divino sconosciuto, nel secondo è Dio stesso che va verso l'uomo, rivelandosi a lui, in eventi storici, reali, in fatti visibili con gli occhi della carne, toccabili, sperimentabili.

E l'Islam dove si colloca? Qui appunto sta la sua anomalia, il suo strano caso. Perché da un lato l'Islam sostiene di essere rivelato da Dio stesso (e questo lo differenzia dalle religioni del primo tipo e ne dimostra una certa derivazione ebraico-cristiana, del resto anche storicamente innegabile), ma dall'altro, a differenza dell'ebraismo e del Cristianesimo, Dio non si rivela nella realtà, in fatti storici (il passaggio del Mar Rosso, o l'umanità tangibile e oggettivamente documentabile di Gesù), non si rivela insomma in qualcosa che tutti possono, di diritto, vedere, sentire e toccare, ma si rivela all'interiorità di un uomo, il Profeta. Si rivela non in fatti, ma in parole, in parole interiori. E non fornisce alla sua parola alcuna documentazione fattuale, oggettivamente verificabile.

Ne deriva che da un lato l'Islam ha una pretesa assoluta (non è un tentativo dell'uomo di andare verso Dio, ma è Dio stesso che si autorivela, esigendo obbedienza totale), che d'altro lato poggia su una fiducia non verificabile in alcun modo e su una operatività, che, stante l'assenza di intervento divino nella realtà, cioè l'assenza di quello che i cristiani chiamano grazia soprannaturale, si affida interamente a progetti e energie umane.

Vediamo di esplicitare queste due importantissime conseguenze. Anzitutto il rapporto tra fede e ragione è nell'Islam concepito in modo ben diverso che nella cultura ebraica o cristiana, con la richiesta alla ragione di abdicare senza condizioni: Dio non interviene nella realtà, nella storia, operando eventi salvifici, benefici per l'uomo, così che l'uomo possa convincersi ragionevolmente della Sua esistenza e della sua Bontà; Dio è intervenuto una volta per tutte nella mente di Maometto (e nella mente dei profeti che lo hanno preceduto): non si possono chiedere delle ragioni a un intervento di questo tipo, si può solo credere. La fede dunque chiede alla ragione di azzerarsi. Prova ne sia anche l'assenza di un solo filosofo mussulmano ortodosso (Averroè, Avicenna, Avicebron erano islamicamente eretici: si possono chiamare filosofi arabi, non, propriamente parlando, filosofi mussulmani). Stante queste premesse, non deve stupire che un dialogo risulti molto difficile: se la propria fede non è fondata su ragioni comunicabili, poiché anche per l'Islam la fede è totalizzante, ne risulta seriamente compromesso lo stesso concetto di ragione e azzoppata una autentica criticità. E infatti l'Islam si trova in gravissime difficoltà non solo con la democrazia e diritti umani, ma anche con la scienza. Un esame scientifico, come quello a cui i cattolici hanno sottoposto la Sindone, applicato alla Pietra Nera della Mecca non è nemmeno lontanamente immaginabile, come non lo è un esame critico-filologico del Corano, al quale la Chiesa ha accettato di sottoporre la Bibbia.

Anche l'altra conseguenza è importante: se Dio non interviene continuamente nella realtà, ma è intervenuto una volta sola, nella mente del Profeta, tutto ciò che capita nella storia è affidato all'iniziativa umana, cioè non si può contare su una grazia. E infatti l'Islam nega recisamente che esista una grazia, come energia soprannaturale che Dio elargirebbe all'uomo, intervenendo storicamente nella vita dell'uomo. Ora, la condizione di un islamico è questa: ha la convinzione di essere portatore niente di meno che dell'Assoluto, che gli si è rivelato in modo totalmente inverificabile e incontrollabile, ed ha a disposizione, per affermare l'Assoluto, non una grazia divina, ma solo dei mezzi relativi, umani, finiti. Questo istituisce un cortocircuito, per la sproporzione tra fine (infinito) e mezzi (finiti). Ne deriva che, pur di affermare, l'assoluto, tutti mezzi umani, coercizione e forza comprese, possono e devono essere impiegati. E infatti c'è nell'Islam l'idea, e anche la pratica, della guerra santa: Dio non si diffonde operando Lui stesso miracoli di conversione e di improgettabile attuazione dell'umano, ma si diffonde grazie all'operare degli uomini a Lui sottomessi, che creano strutture politiche, frutto anche di conquista armata, tali da in qualche modo obbligare a obbedire alla Sua legge, il Corano.